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LA DIFESA IN GIUDIZIO PER LE FORZE DI POLIZIA



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Al congresso di Bergamo interviene l’avvocato Porciani


Il 26 novembre scorso, durante il 7° congresso nazionale della Polizia locale tenutosi a Bergamo, l’avvocato Piero Porciani (nella foto) di Milano e Simona Cenni, Presidente dell’Associazione ‘Prima difesa’, discutono della tutela legale per gli agenti citati in giudizio; a moderare il dibattito Antonio Careddu, Comandante della Polizia municipale di Sassari.

L’avv. Porciani ha più volte ricoperto il ruolo di difensore di agenti della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Polizia locale.
Simona Cenni, vedova di un Maresciallo dei Carabinieri caduto in servizio, ha fondato nel 2009 l’Associazione ‘Prima difesa’, che segue gli agenti delle Forze dell’Ordine, e le loro famiglie, che vengono citati in tribunale.

La signora Cenni tiene a precisare che ‘Prima difesa’ è un’Associazione apolitica e apartitica, che sostiene gratuitamente la difesa per nove diverse categorie appartenenti a Forze dell’Ordine e Forze Armate.
Al momento della sua fondazione, l’Associazione non venne accolta benevolmente anche da alcuni rappresentanti delle categorie in questione, con il pronostico di una sua probabile chiusura entro poche settimane.
Per illustrare le situazioni in cui un agente della Polizia locale può incorrere, l’avvocato Porciani riporta due esempi concreti, entrambi avvenuti nel milanese e sintomatici del tipo di conclusione cui si giunge in casi similari.



Il primo di questi episodi avviene nei pressi di Cascina Gobba, a Milano, noto luogo di riciclaggio di auto rubate.
Un agente della PL intima l’alt ad un uomo a bordo di una vettura, il quale reagisce tentando di investire l’operatore, che allora spara un colpo in aria a mo’ dì intimidazione.
L’uomo non accenna a fermarsi e l’agente intravede anche un corpo metallico posto sul cruscotto della macchina.
A questo punto l’esponente delle Forze dell’Ordine mira al braccio destro dell’uomo e lo colpisce; il ferito si rifugia allora all’interno della vicina Stazione dei Carabinieri, che lo lasciano poi andare.
Successivamente vengono perquisite la casa e la macchina dell’uomo ma nessun’arma viene rinvenuta.
Porciani sottolinea come l’uomo, poiché in libertà, avrebbe potuto agevolmente sottrarre elementi di prova oltre a costruirne altri (ad esempio testimonianze a suo favore).
Si suggerisce come, in casi del genere, il Superiore della PM avrebbe dovuto prelevare il sospettato, una volta che questi era uscito dalla caserma dei Carabinieri.
La vicenda si conclude con un’accusa di tentato omicidio per l’agente, accusa poi derubricata a lesioni personali aggravate.
Il pubblico ministero chiede 3 mesi di reclusione ma, alla fine, vengono comminati 2 anni più il pagamento delle spese legali del denunciante e della provvisionale, per cui i colleghi dell’agente fanno una colletta.
Sarebbe stato opportuno veder indagato anche l’uomo che ha reagito all’alt come descritto, in modo che il Giudice potesse confrontare entrambe le posizioni; ne sarebbe così derivato un maggior equilibrio per tutta la vicenda.

Il secondo caso portato ad esempio riguarda un gruppo di agenti della Polizia locale di Milano, accusati di ingiurie aggravate, minacce e sequestro di persona, da parte di coloro che erano stati fermati durante un’operazione.
In merito all’accusa il pubblico ministero chiede l’archiviazione ma la parte offesa si oppone.
L’avvocato della difesa, si tratta dello stesso Porciani che riporta l’avvenimento, chiede collaborazione al Comando, nella persona del Dirigente della Radiomobile Roberto Fazzini.
Grazie all’aiuto ricevuto, il processo non viene celebrato.

Tutto questo a significare l’importanza dell’intervento e della collaborazione dei Comandi quando ci si trova di fronte ad un’accusa rivolta a un agente del proprio Ufficio.
In base a quanto riportato, per Porciani sono due gli atteggiamenti di riferimento da tenere presenti.
Arrestare chi aggredisce un proprio agente poiché, come già sottolineato, è altrimenti possibile che costui possa creare prove ad arte e corrompere testimoni fittizi.
È bene che i Responsabili delle Unità operative o dei piccoli Comandi verifichino la correttezza delle relazioni di servizio, che sono il primo atto ufficiale ad essere visionato dai giudici.
Inoltre non va tralasciato alcun elemento utile per le indagini e per scagionare l’agente accusato.
In sostanza è bene che il Comandante intervenga anche in base al principio secondo cui un’accusa e una condanna per un proprio uomo rappresentano una sorta di sconfitta per l’intero Corpo.

In merito all’ultimo concetto espresso, Porciani sottolinea come, a differenza di quanto accade per Carabinieri e Polizia di Stato, tra le fila della PM manchi un vero spirito di Corpo.
A tal proposito interviene anche il Com.te Careddu, che a sua volta ribadisce l’importanza della difesa dei propri agenti; in merito a ciò Careddu ricorda le battaglie condotte per la difesa del Corpo all’interno dell’ente locale, che spesso vede una contrapposizione con altre Forze dell’Ordine o con il Questore.
La scarsa tutela dell’agente, secondo Careddu, è imputabile anche al fatto che i Comandanti sono spesso assunti a chiamata diretta del Sindaco e con mobilità.
Così è quasi necessario adeguarsi alle direttive politiche del momento, per evitare eventuali contrapposizioni.
La richiesta più urgente riguarda l’Albo dei Comandanti, che permetterebbe alla categoria di acquisire maggiore forza e peso politico oltre a garantire una migliore organizzazione dell’intera struttura.
fonte: LA VOCE - www.edipol.it





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