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IL DIVIETO DI SOSTA ANTIPROSTITUZIONE; SORPASSO IN CURVA; SOSTA A PAGAMENTOSANZIONI CDS: SI ........



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Riceviamo e pubblichiamo la news letter del dr. Alessandro Casale comandante di polizia locale, docente in diritto della circolazione stradale, giornalista pubblicista, collaboratore di riviste di settore.
e-mail: mailto:alessandrocasale.cds@libero.it

ORDINANZE: IL DIVIETO DI SOSTA ANTIPROSTITUZIONE E’ ILLEGITTIMO.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sezione I, 5 ottobre 2006, n. 21432
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Svolgimento del processo

R.N., con ricorso in data 1.9.1999 proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione conseguente alla violazione, accertata dalla Polizia Municipale di Verona, dell’ordinanza del Sindaco di detta città n. 646/98, che vieta la contrattazione di prestazioni sessuali a pagamento a bordo di veicoli circolanti sulla pubblica via; deduceva l’opponente: a) “l’intenzione di offrire soltanto un passaggio sulla propria autovettura ad una donna che l’aveva richiesto con il consueto segnale di autostop e l’essersi fermato senza recare né intralcio né pericolo per la circolazione stradale; b) l’invalidità dell’ordinanza 646/98 del Sindaco di Verona, sulla quale si fonda la sanzione amministrativa comminata, per non avere il Sindaco di Verona alcun legittimo potere di regolamentare con proprio atto la circolazione stradale in modo difforme da quanto stabilito con legge dello Stato; c) l’invalidità dell’ordinanza n. 646/98 per eccesso di potere, e la conseguente disapplicabilità dello stesso da parte del Giudice di Ordinario in base all’art. 4 della legge 20.3.1865, n. 2248, allegato E; d) l’inapplicabilità dell’art. 7 del decreto legislativo n. 285/92 in quanto la c.d. strada bresciana sulla quale veniva contestata la trasgressione si trova al di fuori del centro abitato del Comune di Verona; e) l’inadempimento da parte dell’amministrazione del proprio onere probatorio.
L’adito Tribunale di Verona, in composizione monocratica, con la sentenza in esame, accoglieva l’opposizione; si affermava da parte di detto Giudice l’illegittimità dell’ordinanza n. 646/98 (con conseguente nullità del verbale di accertamento) per eccesso di potere in quanto l’ambito di esercizio del potere di cui all’art. 7 del C.d.S. è quello della regolamentazione della circolazione stradale (in particolare sia afferma che "si ritiene illegittima detta ordinanza allorquando vieta la fermata del veicolo al fine di contrattare prestazioni sessuali, e non al fine di non arrecare intralcio alla circolazione stradale").
Ricorre per cassazione con un unico articolato motivo il Comune di Verona; non ha svolto attività difensiva l’intimato. 
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 5, 6, 7 D. Lg.vo 30.4.1992 n. 285, anche in relazione agli art. 4, 5 della legge 20.3.1865 n. 2248, All. E.; insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, violazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c.. Si afferma che l’ordinanza in questione risponde al fine delle “misure preordinate ad una maggiore sicurezza stradale nonché ad un ordinario utilizzo del demanio stradale”, di cui all’art. 7 C.d.S., e che detta ordinanza fa riferimento all’attività di meretricio solo perché tale rilevante fenomeno costituisce causa di intralcio al regolare flusso veicolare.
Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.
In tema di sanzioni amministrative per violazioni del Codice della Strada, l’art. 7, primo comma, lettera a, (che richiama i provvedimenti indicati nell’art. 6 C.d.S.) prevede che, nei centri abitati, i Comuni possono, con ordinanza del Sindaco, regolamentare la circolazione per motivi inerenti la sicurezza di quest’ultimo, oltre che per altre esigenze (tra cui la sicurezza pubblica e la salute pubblica).
Nel caso in esame, sulla base di tale richiamo normativo (oltre che dell’art. 36 della L. n. 142/1990 e della L. n. 689/81), il Sindaco di Verona, con l’ordinanza n. 646 del 28.8.1998 ha, in relazione al seguente oggetto: “Misure preordinate ad una maggiore sicurezza stradale nonché ad un ordinario utilizzo del demanio stradale. Divieti riguardanti la domanda e l’offerta di prestazioni sessuali a pagamento svolte sul suolo pubblico”, stabilito che “in tutto il territorio comunale è fatto divieto a chiunque di contrattare prestazioni sessuali a pagamento a bordo di veicoli circolanti sulla pubblica via. La violazione si concretizza nella fermata del veicolo, al fine di richiedere informazioni, ovvero contrattare, ovvero concordare prestazioni sessuali a pagamento con soggetti che esercitano l’attività di meretricio su strada...”, nonché “in tutto il territorio comunale è fatto divieto di indossare un abbigliamento indecoroso e indecente, ovvero di mostrare nudità; detto divieto, oltre che motivato dall’esigenza di tutelare il decoro e la decenza, trova applicazione per coloro che esercitano la prostituzione...”, nonché ancora “in tutto il territorio comunale è fatto divieto a chiunque di soddisfare, in spazi ed aree pubbliche, bisogni corporali...”
Sulla base di quanto esposto risultano in modo ampiamente evidente vizi di legittimità di detta ordinanza, così come puntualmente rilevato dal Tribunale di Verona, sulla base del consentito esame al giudice ordinario incidenter tantum, dei provvedimenti amministrativi in virtù degli artt. 4 e 5 della L. 20.3.1865 n. 2248, allegato E, e del connesso potere di disapplicazione da parte di detto giudice di provvedimenti e atti amministrativi risultanti non conforme alla legge.
In detta ordinanza, correttamente ritenuta illegittima in sede di merito e disapplicata, si rileva il vizio di eccesso di potere, avendo il Sindaco, sulla base delle facoltà riconosciutegli dalla soprarichiamata normativa del Codice della Strada, emesso un provvedimento riguardante, invece, l’ordine pubblico; in particolare, ha fatto ricorso ad un provvedimento apparentemente finalizzato alla regolamentazione della circolazione stradale di autoveicoli, per vietare il meretricio sessuale, con estensione, e tale aspetto è ancor più decisivo, in modo indiscriminato su tutto il territorio del Comune; ciò conferma che con detto provvedimento non si è affatto voluto imporre il divieto di fermata agli autoveicoli in relazione alle esigenze di tutela di una determinata strada o di una determinata zona (così come “impone” il tenore letterale degli artt. 6 e 7 C.d.S. e come emerge dalla relativa ratio legis) ma si è voluto sanzionare, in modo illegittimo per le ragioni esposte, l’attività riguardante le prestazioni sessuali a pagamento in genere e, in modo indiscriminato, su tutto il territorio comunale.
Il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato comporta il non doversi provvedere in ordine alle spese della seguente fase. 
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Roma, 4 luglio 2006.
Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2006


SORPASSO IN CURVA: SI CONTESTA ANCHE IL CONTROMANO (Artt. 143 e 148)
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE sezione II, 28 settembre 2006, n. 21083
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
ha pronunciato la seguente Sentenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Giudice di Pace di Palmi, con sentenza del 10 settembre 2002, rigettò l’opposizione proposta da L. A. avverso il decreto emesso l’11 ottobre 2000, con il quale il Prefetto di Reggio Calabria aveva disposto la sospensione della sua patente di guida per la durata di un mese, per avere il L., in violazione dell’art. 143, 12° co., cod. strad., proceduto contromano il 3 ottobre 2000 in territorio del Comune di Palmi alla guida della propria autovettura tg. XXX in corrispondenza di curva della SS 19.
Osservò il giudice, per quel che ancora interessa, che ricorreva nella specie la violazione contestata, e non quella eccepita di cui all’art. 148, 10° co. cod. strad., atteso che era ininfluente ai fini della qualificazione dell’infrazione la circostanza che la circolazione contro mano in prossimità di curva fosse avvenuta nell’esecuzione di un sorpasso.
Il L. è ricorso con un motivo per la cassazione della sentenza e l’intimato Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria ha depositato il 26 settembre 2003 “atto di costituzione”.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente, lamentando con l’unico motivo la falsa applicazione dell’art. 143, 1° co., e la violazione dell’art. 148, 10° co., d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, deduce che, in ragione del principio di specialità, l’avvenuta invasione dell’opposta corsia in prossimità di curva in modo repentino per l’effettuazione di una manovra di sorpasso, seguita dall’immediato rientro nella corsia di marcia, avrebbe integrato la violazione delle disposizioni regolanti il sorpasso dei veicoli e non di quelle disciplinanti la loro posizione sulla carreggiata.
Il motivo è infondato.

Il sorpasso che, in quanto necessario per evitare intralci alla circolazione e sveltire il traffico, costituisce una manovra connaturale alla circolazione dei veicoli e sempre consentita, salvo che non ricorrano le condizioni di pericolo specificamente menzionate nell’art. 148, cod. strad., non comporta necessariamente l’invasione dell’opposta corsia di marcia e da essa prescinde la disciplina per esso stabilita, limitandosi questa a stabilire la regola comune che il sorpasso deve avvenire sulla sinistra del veicolo o di altro utente della strada che procede nella stessa corsia e che se la carreggiata o semicarreggiata sono suddivise in più corsie, il sorpasso deve essere effettuato sulla corsia immediatamente alla sinistra del veicolo che si intende sorpassare.
Il divieto di sorpasso in prossimità o in corrispondenza delle curve o dei dossi e in ogni caso di scarsa visibilità, stabilito dall’art. 148, 10° co., cod. strad. ha conseguentemente l’esclusiva finalità di prevenire il non avvertibile pericolo derivante dalla possibilità che un veicolo procedente in senso inverso abbia invaso la parte della carreggiata percorsa dai veicoli procedenti in senso inverso e, in generale, che la riduzione dello spazio di manovra non consenta ai veicoli coinvolti in un sorpasso di evitare gli ostacoli alla normale circolazione non percepibili dai loro conducenti con la normale tempestività (cfr., tra le altre, in rif. art. 106 cod. abrog.: cass. pen., sez. IV, 4 febbraio 1983, n. 1566).
L’obbligo imposto ai veicoli dall’art. 143, cod. strad., di circolare sulla parte destra della carreggiata, oltre che in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera, e la previsione di una particolare sanzione per colui che circola contromano in corrispondenza delle curve e dei raccordi convessi o in ogni altro caso di limitata visibilità, non mira, invece, a tutelare la possibilità di reagire efficacemente ad un altrui comportamento pericoloso, ma ad impedire che la violazione del precetto venga posta in essere mediante l’invasione dell’opposta corsia di marcia in situazioni che non garantiscano che la stessa, oltre ad essere necessitata, sia anche consentita dalle condizioni del flusso veicolare opposto e che, in ogni caso, sia rilevabile dai veicoli sopraggiungenti nell’altra corsia e consenta ai loro conducenti di adeguare a detta invasione la propria condotta.
L’effettuazione di una manovra di sorpasso in prossimità di una curva con l’invasione dell’opposta corsia di marcia realizza, conseguentemente, tanto la fattispecie di un sorpasso vietato quanto quella della circolazione contro mano, non sussistendo tra le due violazioni un rapporto di specialità, bensì di concorso formale, e correttamente, dunque, la sentenza ha escluso che non potesse trovare luogo la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, che, diversamente peraltro da quanto opinato dal ricorrente, trovava applicazione in relazione alla violazione sia dell’art. 143, 12° co., e sia dell’art. 148, 10° co., cod. strad.
 Non va provveduto sulle spese del giudizio, essendosi l’intimato limitato a depositare un “atto di costituzione” e non avendo il medesimo svolto alcuna attività difensiva.
 P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Roma, 3 luglio 2006.
Depositata in Cancelleria il 28 settembre 2006


SOSTA A PAGAMENTO: NON E’ OBBLIGATORIO ESPORRE LA RICEVUTA 
GIUDICE DI PACE DI CASERTA - sentenza del 10 novembre 2006
Il Giudice di Pace di Caserta, Avv. Generoso Bello, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al N.ro 4112/06 R.G., avente ad oggetto: opposizione a sanzione amministrativa, ai sensi della L. 689/81:
TRA
TIZIA , nata a Caserta il …. ed ivi residente alla Via ….. n. …; (opponente)
Comune di Caserta, in persona del Sindaco p. t., (opposto)
Conclusioni: come da verbale di causa.
Svolgimento del processo
Con ricorso pervenuto a mezzo posta in data 4.5.2006, veniva proposta opposizione avversa il verbale di contestazione reso dalla Polizia Municipale di Caserta, n. 703xxx/2006/P del 27.4.2006, il cui originale è stato notificato in data 22.7.2006, conseguente a violazione dell'art. 157, c. 6 e 8, C.d.S. poiché il conducente del veicolo Ford Fiesta, tg. xxxxxxx, in data 27.4.2006, alle ore 10,13, in Caserta, alla Via …. n. …, sostava in area di parcheggio a pagamento senza esporre il grattino.

Deduceva, tra l'altro, la ricorrente che l'autovettura era parcheggiata con esposto sul cruscotto il permesso per disabili, nelle strisce blu proprio di fronte alla propria abitazione, il cui lato della carreggiata era stato reso sosta vietata con rimozione. Nel frattempo, l'istante accompagnava, in poco tempo, presso la propria abitazione, nel civico 158, l'anziano genitore intestatario del permesso e le veniva contestato il verbale. Nelle vicinanze non esistevano posti per invalidi. Chiedeva, pertanto, l'annullamento del verbale di contestazione impugnato.
Il Giudice, con decreto notificato alle parti, fissava l'udienza di comparizione delle parti stesse.
L'opposto Comune di Caserta, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto della proposta opposizione perché infondata, con vittoria delle spese di giudizio.
All'esito dell'udienza di comparizione, il Giudice decideva la causa dando lettura del dispositivo, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 689/81 e della Sentenza n. 534/90 della Corte Costituzionale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La proposta opposizione è fondata e va accolta.
Invero, il comma 6 dell'art. 157 C.d.S. dispone testualmente: "Nei luoghi ove la sosta è permessa per un tempo limitato è fatto obbligo ai conducenti di segnalare, in modo chiaramente visibile, l'orario in cui la sosta ha avuto inizio. Ove esiste il dispositivo di controllo della durata della sosta è fatto obbligo di porlo in funzione".
Non può, dunque, revocarsi in dubbio che la ricordata norma fa preciso riferimento ai luoghi in cui la sosta è limitata nel tempo e non all'ipotesi di parcheggio a pagamento.
Peraltro, è pacifico che in tutti i luoghi in cui la sosta è a tempo limitato (non a pagamento), il conducente del veicolo che espone il cd. "disco orario", sul cruscotto, con l'indicazione dell'orario di inizio della sosta, assolve alla prefata norma, con la conseguenza che, scaduto il tempo stabilito, il conducente deve allontanarsi e lasciare libero il posto in modo da consentire l'avvicendamento con altri veicoli.
Diversa è l'ipotesi di parcheggio a pagamento, dove la sosta dei veicoli è consentita per un periodo piuttosto lungo in una zona appositamente riservata dall'autorità competente, con il pagamento di una somma oraria determinata dalla medesima autorità, assistita questa da regolare provvedimento della G.M..
In tale quadro, è del tutto evidente che il conducente del veicolo è solo tenuto al pagamento del parcheggio impegnato per il tempo, calcolato ad ora o frazione di essa, ma certamente non è passibile di sanzione amministrativa per una violazione che non ha commesso, né prevista e neppure sanzionata dal C.d.S..
Sicché, la proposta opposizione è fondata e va accolta, con la conseguenza che il verbale della Polizia Municipale di Caserta va annullato.
La natura della controversia ed i motivi che hanno portato all'accoglimento dell'opposizione giustificano la compensazione integrale delle spese di lite.
P. Q. M.
Il Giudice di Pace di Caserta, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede:
1) Accoglie la proposta opposizione e, per l'effetto, annulla il verbale di contestazione n. 703xxxx/2006/P del 27.4.2006, reso dalla Polizia Municipale di Caserta;
2) Dichiara le spese di giudizio interamente compensate tra le parti.
Così deciso in Caserta, all'udienza del 10 Novembre 2006
Il Giudice Coordinatore
(Avv. Generoso Bello)
(Fonte: www.iussit.it)


SANZIONI CDS: SI APPLICA LA LEGGE 241/1990
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA 13 APRILE 2006,  N. 8652
Svolgimento del processo. – Con ricorso al Giudice di Pace di Pesaro del 9 ottobre 2001 L. P. propose opposizione ex art .22 L. 689/81 avverso l’ordinanza-ingiunzione della Prefettura di Pesaro e Urbino notificatagli il 15 settembre 2001, irrogante una sanzione pecuniaria amministrativa per violazione stradale (eccesso di velocità), deducendo, tra l’altro e per quanto in questa sede rileva, l’invalidità del provvedimento impugnato, in dipendenza della violazione del termine di cui all’art. 203 comma 2 c.s. (D.L.vo 285/ e succ. mod.)
All’esito del giudizio, documentale istruito, nel quale la Prefettura si era costituita contestando il fondamento dell’opposizione, questa venne accolta con sentenza del 19 febbraio – 7 marzo 2002, con compensazione delle spese.
Pur disattendendo nel merito l’opposizione, il giudice di Pace riteneva fondato il suesposto preliminare motivo, rilevando che l’ordinanza prefettizia, pur avendo rispettato il termine di giorni 90 dalla ricezione degli atti relativi al ricorso, presentato il 13 maggio, aveva tuttavia fatto seguito a tardiva trasmissione degli stessi, in relazione al termine, ritenuto perentorio, di giorni 30, entro il quale, ai sensi dell’art. 203 comma 2 c.s., il Comando di polizia accertatore avrebbe dovuto trasmetterli.
Avverso tale sentenza il Prefetto di Pesaro e Urbino ha proposto, a mezzo dell’avvocatura generale dello Stato, ricorso per cassazione, affidata a due motivi.
Il P. non ha svolto attività difensiva in questa sede.    
motivi della decisione. – Nel primo motivo di ricorso viene dedotta “violazione e falsa applicazione degli artt. 201, 203 e 204 del codice della strada (come modificato dalla L. 24 novembre 2000 n. 340 art. 18) (art. 360 n. 3 c.p.c.)”.
Si censura la ritenuta perentorietà di per sé del termine di cui all’art. 203 comma 2 c.s., sostenendosi, con richiamo a giurisprudenza di legittimità, che l’unico termine perentorio, come previsto dall’art. 204 cit. codice, sarebbe quello di complessivi giorni 120 decorrente dalla presentazione del ricorso e derivante dal cumulo dei trenta giorni concesso al Comando di Polizia accertatore con quello dei novanta, dalla ricezione di tali atti, assegnato al Prefetto per l’emissione dell’ordinanza.
Tale termine complessivo nella specie sarebbe stato osservato, essendo stata l’ordinanza emanata il 3 settembre 2001. Con il secondo e connesso motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, su punto decisivo della controversia, conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 203 e 204 c.s., sul rilievo che “l’opposizione era stata notificata all’Ufficio di cui all’art. 203 primo comma c.s. in data 13 maggio 2001” ed era poi pervenuta in Prefettura il 27 giugno 2001; sicché, non essendo stato accertato, né chiarito dalle parti, in quale data gli atti fossero stati trasmessi dal Comando accertatore, l’unico termine valutabile con certezza, ai fini della tempestività dell’ordinanza, sarebbe stato quello di centoventi giorni dalla presentazione del ricorso”.
Le censure, la cui evidenziata connessione comporta l’esame congiunto, sono fondate.
La tesi della perentorietà del termine di cui all’art. 203 comma 2 c.s., sia pure in relazione al successivo art. 204, nel testo vigente all’epoca in cui si è svolto il procedimento amministrativo in esame, è priva di alcun riscontro normativo, non essendo in quelle disposizioni prevista alcuna diretta comminatoria, nel senso ravvisato dal Giudice di merito, in relazione all’ipotesi di tardiva trasmissione degli atti del contesto, dal comando di polizia accertatore dell’illecito alla Prefettura.
La violazione di tale termine può, invece, assumere rilevanza dirimente, agli effetti della tempestività dell’ordinanza sanzionatoria, non di per sé, ma solo indirettamente, per effetto del cumulo tra il termine in questione e quello successivo, di cui all’art 204 comma 1, previsto per l’emissione dell’ordinanza prefettizia.
 In tal senso è ormai univocamente orientata la giurisprudenza di questa Corte, nel prevenire, pur in assenza (all’epoca dei fatti) di espresse disposizioni prevedenti la perentorietà del termine ex art. 204 comma 1 (perentorietà che è stata poi prevista dal comma 1 bis, all’articolo anzidetto, aggiunto dalla L. 214/03), ad affermarla sulla scorta di considerazioni di ordine sistematico e del principio generale, dettato dall’art. 2 della L. 241/90, secondo il quale ”nell’ipotesi in cui il procedimento amministrativo consegua direttamente ad una istanza, e per esso il legislatore determini il termine entro cui deve concludersi, la pubblica amministrazione ha il dovere di compierlo, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, entro il termine previsto dalla legge; con la conseguenza che, emesso intempestivamente il relativo provvedimento, questo risulta non inefficace, ma affetto da violazione di legge e, pertanto, invalido…” (v. Cass., sez. I, n. 6499/04 e giurisprudenza ivi richiamata, e, in precedenza, sez. I n. 4204/99, n. 2064/98, nonché sez. III, n. 9477/00).
Da tali pronunzie chiaramente si evince che, fermo restante il principio generale di diritto amministrativo, secondo il quale la perentorietà di un termine, non espressamente prevista dalla legge che lo contempla, può derivare solo da ragioni di ordine sistematico o da regole codificate di applicazione generale, nei casi esaminati dalla citata giurisprudenza la perentorietà del termine complessivo, derivante dal cumulo di quelli ex art. 203 comma 2 e 204 comma 1 c.s., nel testo temporalmente in vigore, è stata correlata alla precipua natura, di atto conclusivo del procedimento amministrativo, scaturito dal ricorso dell’interessato, che riveste l’ordinanza-ingiunzione prefettizia.
Tale correlazione non è, invece, possibile in riferimento al solo termine, di per sé considerato, di cui all’art. 203 comma 2, attenendolo stesso ad un adempimento interno al procedimento amministrativo, la trasmissione degli atti dall’autorità accertatrice a quella preposta all’esercizio del potere sanzionatorio, che pur essendo finalizzato al sollecito svolgimento dell’iter procedimentale, non è tuttavia imposto sotto espressa comminatoria di invalidità o di perenzione della pretesa sanzionatoria, né di per sé è idoneo a pregiudicare le situazioni soggettive degli interessati.
Sulla scorta di suesposti principi, considerato che la sentenza impugnata è pervenuta all’accoglimento dell’opposizione (dopo avere, peraltro, ultroneamente compiuto un parziale esame, con esito negativo, del merito della stessa), limitandosi a ritenere fondato uno dei motivi addotti, secondo il quale la sola violazione (non meglio specificata nei suoi concreti estremi cronologici) del termine di cui all’art. 203 comma 2 c.s avrebbe comportato l’invalidità dell’ordinanza-ingiunzione, la sentenza deve essere cassata, con rinvio ad altro giudice dell’ufficio di provenienza. Nel nuovo giudizio, dovrà preliminarmente accertarsi se l’ordinanza prefettizia impugnata sia stata emessa entro il complessivo termine di giorni 120, derivante dal cumulo di quelli agli artt. 203 comma 2 e 204 comma 1 c.s., nel testo all’epoca in vigore ed, in caso positivo, passare all’esame dei rimanenti motivi di opposizione.
Provvederà, inoltre, il giudice di rinvio al regolamento delle spese del giudizio di legittimità, nell’ambito di quello complessivo finale. (Omissis).





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