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Si prega tutti coloro che abbiano ottenuto la mobilità, di darne comunicazione per cancellare la richiesta.

                                                Si ringrazia per la fattiva collaborazione

IL Segretario Generale Nazionale Daniele Minichini


INFO SINDACALI 1



IL MOBBING



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Il mobbing è una situazione di malessere che sorge da un conflitto non risolto sul luogo di lavoro tra due o più soggetti per cause legate alla competizione interna ovvero per cause anche più banali quali l’antipatia o la diversità di opinioni e di abitudini. Il conflitto non risolto divide gli attori in due ruoli opposti, la vittima o mobbizzato e l’aggressore, o mobber. Il secondo attua strategie tese alla distruzione del primo: sabotaggi del lavoro, telefonate mute, scherzi pesanti o continui, accuse di follia di fronte a tentativi di difesa.
I danni alla salute del mobbizzato sono in genere molto gravi e allo stesso modo anche l’azienda subisce serie conseguenze negative:
1) la vittima non lavora più con gli stessi ritmi e la stessa efficienza: la sua produttività si riduce notevolmente. Le ricerche condotte dagli esperti di hanno riscontrato cali delle prestazioni dovuti al mobbing fino all’80% della capacità lavorativa individuale;
2) l’azienda subisce direttamente i costi di questo fenomeno continuando a sostenere economicamente il 100% della paga del mobbizzato e del mobber;
3) il mobbizzato manifesta problemi psicosomatici che lo costringono a lunghe e continue assenze per malattia;
4) il datore di lavoro ha un ulteriore aumento dei costi: deve sostituire il lavoratore mobbizzato durante la sua assenza per malattia o incaricare qualcuno di portare a termine il lavoro incompiuto della vittima;





POCHE LEGGI

Le LEGGI
L’impianto normativo esistente in tema di risarcimento del danno necessita dell’introduzione di alcuni correttivi che possano consentire il superamento di parecchie limitazioni che si frappongono ad un adeguato ristoro dei danni subiti dal lavoratore.
Il recente sviluppo della nozione di danno biologico unitamente ad una modifica dei presupposti per l’esistenza del danno morale ha certamente rappresentato un fatto di grande rilievo che oggi consente di considerare con più attenzione il problema del risarcimento di danni.
Il quadro normativo attuale si fonda su alcune norme di portata generale che si rinvengono nel codice civile: in specie gli artt. 2043, 2056, 2059; con riguardo particolare alla tutela del lavoratore l’art. 2087 appare poi introdurre alcuni principi che, seppur interpretabili con riferimento alle situazioni determinatisi sul luogo di lavoro appaiono di portata generalissima.
Oltre il lavoro della dottrina e della giurisprudenza volto all’interpretazione delle norme esistenti, con uno sviluppo esegetico che recentemente è apparso molto efficace, occorre considerare la necessità di introdurre alcune nuove norme che consentano una corretta ed aggiornata valutazione del danno biologico.
Intanto è stata indicata la necessità che il danno biologico sia risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato; inoltre, in caso di morte del danneggiato, il risarcimento dovrebbe quantificarsi avuto riguardo al tempo trascorso dall’evento dannoso; ancora, si è auspicato che in caso di morte del danneggiato del danneggiato, sia risarcibile il danno biologico subito dai prossimi congiunti, specificando che a questo fine, per congiunti, devono intendersi il coniuge e i parenti entro il secondo grado.





LA RASSEGNA STAMPA

Rassegna Stampa
Ecco il Mobbing, veleni in ufficio di BARBARA ARDU'
«Chiesi solo una promozione»

Marisa ha 48 anni, è cioè proprio nella fascia d'età nella quale si concentra il maggior numero di casi di mobbing. Da diciotto anni lavora presso un'azienda privata come impiegata responsabile dell'ufficio acquisti. «Un giorno, visto il livello dei miei compiti, decido di chiedere un avanzamento di carriera. Non l'avessi mai fatto, il titolare reagisce violentemente dichiarando il suo profondo disprezzo per le mie pretese». Da quel momento posta e telefonate vengono dirottate e lei è emarginata ed esautorata da ogni mansione. Così si ammala e finisce alla clinica del Lavoro di Milano. La diagnosi è chiara: «Si tratta di mobbing».
Anche Giuseppina, 47 anni, impiegata in un'altra azienda, aveva avanzato una richiesta di promozione. La domanda produce subito pesanti conseguenze: viene relegata in un ufficio al piano terreno, privo di misure di sicurezza e rumoroso. Contemporaneamente una politica ostile viene avviata anche contro suo marito, dipendente della stessa azienda. Inevitabili le conseguenze psicofisiche per entrambi.
Attenzione, però, il mobbing può essere molto pericoloso anche per il presunto persecutore. Un impiegato di un'azienda di Racconigi (Cuneo), Carlo Morelli, tempo fa uccise il suo capufficio Guido Turolla: a suo dire lo ostacolava nella carriera.




«Se la vita diventa un inferno»

«Prima non sapevo neppure il significato della parola, ora a causa del mobbing ho perso il lavoro e sono diventato uno zombi, io e la mia famiglia non saremo più come prima». Claudio Macario ha 52 anni, è un ex dirigente e ha lavorato per anni in un'azienda pubblica di Torino «poi privatizzata e quotata in Borsa». «Un giorno ho avuto la bella idea di denunciare un caso clientelare, è stata disposta un'ispezione ma non è accaduto nulla. Tranne un piccolo particolare: mi è stato tolto l'incarico di responsabilità sugli 80 dipendenti che dirigevo. Con l'aggravante che mi fu resa la vita impossibile. Trasferito a Milano entrai di nuovo in conflitto con la direzione che mi inquadrò come recidivo rompiscatole solo perché segnalai alcune cose da cambiare. Così fui rimandato a Torino, ma senza alcuna mansione. Alle mie proteste ecco un nuovo trasferimento, questa volta a Roma. Impugnai quest'ultimo diktat e, dopo sette mesi, venni richiamato a Torino, ma, di nuovo, senza funzioni. Allora presentai una denuncia per demansionamento e le conseguenze furono, prima un nuovo incarico a Roma, poi il rientro a Torino e il licenziamento. Ora sono in cura alla clinica del Lavoro di Milano, ho presentato ricorso contro il licenziamento, ho speso 30 milioni in avvocati. La mia vita non sarà più la stessa».




I «perseguitati» dell'ufficio sull'orlo di una crisi di nervi

I «perseguitati» dell'ufficio sull'orlo di una crisi di nervi
di ENZO RIBONI

Quando entra lui nella stanza, la conversazione s'interrompe, gli sguardi si abbassano, tutti tornano al lavoro ignorandolo, i pochi che lo salutano lo fanno a mezza voce. E poi sul suo conto circolano insinuazioni e chiunque ha da ridire sulla sua correttezza nel lavoro. Insomma, i colleghi fanno di tutto per trasformare il luogo di lavoro in un inferno psicologico, operano su di lui con quella violenza morale e con quelle vessazioni continue che gli anglosassoni sintetizzano in un unico termine: mobbing.
C'è però anche il superiore che, quando non lo ignora, lo maltratta o lo mette da parte senza ragione, gli affida compiti dequalificanti, ben al di sotto delle sue competenze, lo trasferisce solo per creargli disagi. «A volte - spiega Harald Ege, psicologo del lavoro tedesco diventato in Italia il massimo esperto di mobbing - questi capi tormentano il dipendente solo perché sono psicotici, dei narcisisti perversi, ma spesso lo fanno seguendo direttive aziendali: nell'impossibilità di un licenziamento, rendere la vita insostenibile al lavoratore fino a spingerlo alle dimissioni. Una persecuzione che prende il nome di bossing. I colleghi che emarginano un compagno, invece, quasi sempre lo fanno perché lui è troppo efficiente e così mette a nudo le lentezze degli altri».
Il brutto è che non sempre il «mobbizzato», la vittima del mobbing, ha la possibilità di cambiare lavoro (non a caso l'età critica è intorno ai 50 anni) e allora ecco che scoppiano le conseguenze psicofisiche delle vessazioni subite. «Le patologie più diffuse - spiega Mariagrazia Cassitto, neuropsicologa del Centro disagio lavorativo della Clinica del lavoro di Milano - sono i disturbi emozionali: insonnia, ansia, depressione, attacchi di panico, fobie. Poi le alterazioni neurovegetative: tachicardia, sudorazione, coliche, gastriti, respiro corto. Infine i disturbi del comportamento: anoressia, bulimia, uso smodato di farmaci, alcol, sigarette, aggressività, fino al suicidio e all'omicidio».
Anche se il problema esiste da sempre, solo da poco si è cominciato a inquadrarlo come fatto sociale rilevante, causa di vere e proprie malattie professionali. Il primo a parlare di mobbing fu, nel 1986, Heinz Leymann, psicologo tedesco che lavorava in Svezia. In Italia è stato Ege ad affrontare il problema nel '96: «In Europa sono 12 milioni le vittime del mobbing e, in Italia, si dovrebbe arrivare a un milione e mezzo di persone, che salgono a 5 milioni sfiorati dal problema se si tiene conto anche delle famiglie dei mobbizzati». Dalle statistiche sui 600 pazienti di Ege emergono le vessazioni più frequenti. Il 94% ha subito attacchi alla reputazione (ridicolizzazioni, diffamazioni...), il 93% offese ai contatti umani (urla, rimproveri pesanti...), l'89% ha visto declassate le sue mansioni, l'88% è stato sistematicamente isolato, il 39% ha sofferto violenze o minacce di violenze. L'aggravante è che il mobbing non impatta solo sui singoli, ma diventa un problema sociale con elevati costi economici. L'anno scorso la Volkswagen (che ha stipulato con i sindacati un accordo antimobbing) ha perso 300 miliardi di lire a causa del mobbing. Una persona colpita, si è calcolato, costa ad aziende e società il 180% in più degli altri lavoratori.

Sindrome del colpevole? E' il momento di reagire

Il primo passo, il più difficile, è riconoscere la situazione. «Ero convinto che il problema fosse in me - dice il mobbizzato - che non fossi abbastanza bravo sul lavoro, che soffrissi di complessi di persecuzione». Gli esperti, invece, per distinguere il mobbing dai conflitti episodici, chiedono almeno sei mesi continuativi di vessazioni e conseguenti disturbi psicofisici. La prima mossa per reagire è rivolgersi al medico di famiglia. Meglio ancora a strutture ad hoc come creata da Harald Ege, psicologo del lavoro esperto in mobbing. O alla neonata Mima, associazione di mobbizzati fondata da Mirco Tosi (vedi pagina a fianco). Unico centro con approccio integrato è quello di prevenzione-studio-diagnosi del disagio lavorativo della Clinica del lavoro di Milano. Altro riferimento è l'Ispesl, istituto di prevenzione e sicurezza sul lavoro del ministero della Sanità.
«Attualmente - spiega il procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello - non esistono norme che pongano il mobbing tra le malattie professionali, tuttavia io stesso sto indagando su casi in cui si configurano sia le lesioni colpose sia la violenza privata». In realtà la situazione in Italia potrebbe cambiare grazie a tre nuovi progetti di legge (vedi articolo in basso).
Sul versante dei datori di lavoro, invece, poco si muove. Zona critica è la pubblica amministrazione, imputata per il 22% dei casi di mobbing. Il comune di Torino ha appena avviato un corso di formazione per 185 dirigenti. Dice il direttore generale Cesare Vaciago: «Nella pubblica amministrazione il mobbing nasce da un sistema punente ufficiale che non funziona, quindi prevale quello informale che crea segregazioni, isolamenti, emarginazioni».
Infine, ecco di seguito gli indirizzi utili:

1. associazione contro mobbing e stress psicosociale. Via Tolmino 14, 40143 Bologna, Tel. 051-6148.919;
2. Mima, Movimento italiano mobbizzati associati. Via F. Meda 169, 00157 Roma, Tel. 06-4510.843;
3. Clinica del lavoro. Via San Barnaba 8, 20122 Milano, 02-5799.2642;
4. Ispesl. Via Urbana 167, 00184 Roma, Tel. 06-47141.



Il pm Guariniello: "Denunciate chi vi molesta"

Trecento dipendenti comunali imparano a difendersi. Il pm Guariniello: "Denunciate chi vi molesta"

Persecuzioni in ufficio. Torino, corso anti-mobbing
In Francia e Svizzera le molestie sul lavoro sono la causa del dieci per cento dei suicidi
TORINO - Parte dal capoluogo piemontese la crociata contro le molestie sessuali e morali sul luogo di lavoro. Trecento dirigenti del Comune di Torino hanno partecipato al primo corso di formazione "anti-mobbing" (parola inglese che indica le persecuzioni che si subiscono in uffici e fabbriche), fenomeno che in alcuni Paesi europei come la Francia e la Svizzera è considerato la causa del dieci per cento dei suicidi.
Finora i casi denunciati dai dipendenti comunali torinesi sono solo una decina, otto da uomini e due da donne. Pressioni psicologiche, maltrattamenti, aggressioni verbali, segnalazioni anonime che hanno spinto le vittime a rivolgersi al Comitato per le pari opportunità di Palazzo Civico. Ma si tratta di rare eccezioni, perchè, spiega Maria Adriana Vindigni del comitato, non sempre chi è vittima del mobbing ha la forza di venire alla scoperto.
"In Italia - sostiene Renato Giglioli, direttore del Centro Disadattamento Lavorativo della clinica del lavoro dell' Università di Milano - più della metà dei casi denunciati sono di mobbing strategico, cioè una persecuzione psicologica finalizzata. Si ricorre al mobbing, insomma, perchè è difficile licenziare".

Il 13 ottobre scorso il senatore dei Ds Giancarlo Tappano ha presentato un disegno di legge sul fenomeno delle molestie sul posto di lavoro. "Un provvedimento legislativo - sottolinea il senatore diessino - che serva a riconoscere il mobbing e permetta di intervenire quando le violenze psicologiche non abbiano ancora prodotto danni".
Al primo corso di formazione anti-mobbing ha partecipato anche il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, che ha citato due casi esaminati dalla Cassazione. Il primo è quello di un consigliere comunale che per spronare il custode di un cimitero a spostare del materiale lo aveva minacciato dicendogli che non sarebbe rimasto in carica oltre l'età minima della pensione. La corte di cassazione ha confermato la condanna per violenza privata aggravata. Nel secondo caso, un sindaco è stato condannato per avere affidato a una dipendente, con tre ordini di servizio, mansioni inferiori alla propria funzione. Per Guariniello, "il problema del mobbing va collocato nella legislazione sociale sulla tutela e la salute nei luoghi di lavoro, in quanto, se è protratto nel tempo, può produrre vere e proprie malattie".
(25 ottobre 1999)


PRIMA - ASSOCIAZIONE ITALIANA CONTRO MOBBING E STRESS
PSICOSOCIALE





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